domenica 15 maggio 2011

Fenomenologia dell'invidia e cioccolato fondente al 70%

Come prolungare ad oltranza i sonnellini pomeridiani della domenica di figlio e marito? Sto perfezionando tecniche che sfiorano la tortura psicologica: per il piccolo basta svegliarlo alle 6 come gli altri giorni della settimana  quando lo porto al nido, ma dopo averlo fatto correre all’aperto  per ore  il sabato pomeriggio i risultati sono sorprendenti: quasi 5 ore di silenzio prolungato. Per il marito è più semplice, il trucco sta nel tirare molto l’aglio prima di cuocervi il coniglio ripieno con le patate.
Tutto premeditato, niente è affidato al caso, in attesa di poter finalmente rileggere I libri che non ho scritto di George Steiner. Che fosse un libro da leggere piano lo sapevo già, c’è il rischio di restarci secchi. La causa? Il peso specifico  del  sentimento più potente dell’uomo: il rimpianto per le occasioni mancate.
Di tutti i libri di cui Steiner aveva progettato di scrivere, quello che più mi ha  costretto a fermarmi è stato quello sull’invidia. Quando dico che un libro mi costringe  a fermarmi vuol dire che sento una sensazione tumultuosa che si irradia direttamente dal mio intestino pigro e dunque sono costretta ad andare in cucina  in cerca di cioccolata nera fondente con minimo 70% di cacao. È l’unica cosa che mi calma. Devo confessare che ho trovato solo i resti di un uovo di cioccolato del piccolo che stranamente adora il cioccolato nero fondente. Ma per fortuna lui fa parte di quella generazione che è costretta all’alimentazione biologica ed equilibrata di zuccheri e grassi sin dal nido. Tra parentesi, mi chiedo come abbiamo fatto noi a venir su senza il biologico. È per questo che siamo così sottosopra?
Io non so come Steiner avrebbe chiamato il suo libro, mi piace immaginare un titolo roboante come “Fenomenologia dell’invidia”, anche se per lui è semplicemente il libro su Cecco d’Ascoli, un contemporaneo di Dante Alighieri, dilaniato dall’invidia per il successo delle opere del suo rivale. L’invidia serpeggiava in ogni sua opera, in particolare nell’Acerba, la sua opera principale, definita  “un’imitazione frustrata della Divina Commedia” e  che è stata bruciata con lui sul  rogo. Ma non si limitava ad un’invidia scritta, nei fatti e nelle azioni non faceva che denigrare le opere dell’altro.
Steiner confessa che non ha scritto il saggio su Cecco e sulla  sua invidia perché il tema lo “toccava troppo nel profondo”. Credo che in qualche modo centrino con questa affermazione le  telefonate in arrivo da Stoccolma per l’assegnazione del Nobel agli abitanti di  stanze inutilmente vicina alla sua.
Ma il momento in cui ho dovuto fermare sul nascere il manifestarsi di una nera disperazione galoppante con i residui di nerissima cioccolata è stato quando ho letto la seguente frase: “una modalità più sottile  e più dolorosa dell’invidia difensiva è una calibrata mortificazione di sé”. Come dire, nemmeno i più umili e i più mansueti sono al sicuro da questo sentimento di invidia strisciante.
Quando la cioccolata ha fatto il suo corso dal palato  a tutto il sistema nervoso, ho capito che cosa mi aveva tanto turbato: forse chi legge libri sui libri è in qualche modo affetto da una forma di invidia difensiva? Leggere di libri è forse  un modo per ammansire le belve della creazione che digiunano dentro di me? Sarà vero che ammiriamo e veneriamo l’oggetto della nostra invidiosa frustrazione?
Io non ho mai sentito squillare telefoni benevoli nemmeno in stanze attigue alle mie, se squillavano ,erano talmente lontano dalla mia casa tranquilla (solo alla domenica nel primo pomeriggio) da concludere così che l’invidia ha bisogno di contiguità, di vicinanza, dell’essere stato ad un pelo da che il telefono squilli proprio in casa tua.
Chi può provare invidia sono solo i “non piazzati” come li chiamerebbe Steiner, quelli che hanno partecipato alla gara e/o hanno visto da vicino, troppo da vicino il genio altrui.
Ma anche tra i non piazzati si dovrebbe provare  distinguere: ci sono  i non piazzati come Max Brod che alla fine in qualche modo cooperano affinchè il genio trionfi e i non piazzati come Cecco d’Ascoli, il cui turpiloquio invidioso lo ha condotto dritto al rogo e prima ancora all’autodistruzione.
Steiner dice che la fonte dell’invidia potrebbe essere la percezione di un’ingiustizia. È ingiusto che un uomo sia baciato dal genio e un altro no,che uno possa essere un Apollo Carismatico ed un altro un gobbo Tersite.
Ma io dico –grazie alla serena accondiscendenza che mi viene dalla quantità di cacao nel sangue - a cos’altro servono i  libri e la lettura, se non ad essere più flessibili, ad accettare meglio e più a fondo la nostra vocazione umana?
I rimpianti per  le azioni non agite possono essere distruttive ma il rimpianto per i libri non scritti è un esercizio di  incredibile generosità perché regala idee, passa il testimone, senza mortificarsi, dicendo semplicemente: io sono arrivato  fino qua, tu se puoi, vai oltre.
Quanti ne conoscete di intellettuali, politici e dirigenti così? Che ad un certo punto vi svelano il loro percorso e si mettono da parte, vi fanno spazio? La chiamano gerontocrazia, ma è qualcosa in più, è più simile a quello che ha scritto il duca di Rochefoucauld, un altro che ha avuto il buon gusto di ritirarsi per tempo:”l’amore per se stessi quando supera il limite diventa una perversa passione sia per  chi ne è invaso, sia soprattutto per gli altri  che egli vuole rendere suoi soggetti distruggendone l’indipendenza e trasformandola in amore verso di lui”.

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