domenica 8 maggio 2011

Sulla fame di realtà dei lettori e sulla sazietà degli scrittori

E se i libri sui libri avessero un più alto livello di realtà? Cioè fossero più adatti  ad incarnare una letteratura basata sul bisogno di  contemplazione e di rivelazione del lettore? Questo mi chiedevo dopo un cosciotto di agnello con le patate che ho cucinato e che è stato mangiato anche  dal piccolo avvolgendolo così in un sonnellino pomeridiano durato dalle 2 alle 6 che mi ha permesso di riflettere a fondo sulla faccenda.
Sono state ore propizie, in me la fase digestiva del cosciotto di agnello ha favorito una  certa inclinazione al liric essay e ho quindi deciso iniziare questa rassegna di libri sui libri con il saggio Fame di realtà di David Shields. Se non fossi una lettrice della domenica pomeriggio e un’umile impiegata per il resto della settimana potrei dirvi che questo libro mi ha fatto pensare a Derrida e al decostruttivismo dei segni ma purtroppo non mi è consentito andare oltre:  alla fine non ho studiato filosofia  come avrei voluto ma una facoltà che mi permette di lavorare e  di sfamarmi ma non di leggere.
Questo libro introduce un nuovo genere: il collage letterario che l’autore intende come l’unica forma possibile di evoluzione della letteratura: nel collage la scrittura diviene quasi una pratica di lettura.
Ricostruire la paternità di ognuno dei frammenti di cui è composto il libro, distinguere le parti scritte da David Shields o quelle di altri invece  rimescolate da David Shields è impossibile  a chi legge ma forse anche a chi scrive, a giudicare dalla vaghezza delle  fonti  a fine libro; fonti alla cui sommaria identificazione è stato costretto dai legali della casa editrice.  È a dire il vero se non frega niente a lui del diritto d’autore, non  frega niente nemmeno a noi.  A leggerlo ho provato un rimescolamento allo stomaco. Come il “rimescolamento” dei proci quando vedevano Penelope. È esattamente quello che si deve provare quando ci si accorge che si sta per ottenere quello che si è tanto cercato
In questo smantellamento della trama “quello che rimane in piedi è la cosa in sé”, tanto per citare il frammento 140. Qui dentro c’è materiale autentico che con un giro di frullatore diventa invenzione letteraria.  E pazienza se è un frullato di libri altrui. Che cos’è in fondo l’appropriazione nell’arte? Ce lo dice lo stesso Shields nel frammento 271: “è come quando rubi ma lo fai per principio perché in un altro contesto il significato cambia”.
Il ragazzo Shields  dopo tre romanzi di fiction (ai tempi in cui ignorava di essere un autore di fiction) ha confessato di aver sempre avuto un debole per le citazioni. È come non perdonarlo, se come dice lui, Il futuro è nelle citazioni, (una volta era nella plastica!).  È lui è il primo ad aver portato l’arte della citazione senza virgolette a livelli inimmaginabili. È l’arte del montaggio applicato alla letteratura.
D’altronde, se è vero che “Il romanzo è morto e l’antiromanzo si nutre di scarti”, questi almeno sono scarti di prima scelta, raccolti per anni con pazienza nel suo quaderno azzurro. E pare di vederlo questo simpatico ragazzone calvo, girare per l’Università di Washington a insegnare letteratura creativa mentre sotto il braccio nel suo fascicolo azzurro raccoglie tutte le ultime frasi del romanzo morente.
La morte del  romanzo  merita un’autopsia, la troviamo nel frammento 347. La causa del decesso sarebbe, per dirla in breve, un eccesso di prevedibilità. La realtà così variegata o così naturalmente finta forse  umilia il talento.
Autentico godimento è il capitoletto su “l’elogio della sintesi”.  Questo libro per la sua originalità merita davvero di essere il primo nella mia personale mappa dei libri sui libri. E leggendolo non ho per niente avvertito la maledizione che – secondo Shields- incomberebbe sul lettore di non-fiction, e che lui chiama “l’insicurezza epistemologica” , il non sapere quanto c’è di vero in questo frullato di libri altrui. E chi se ne frega!  È un nuovo genere o qualcosa di simile.  E come tale è benvenuto.
Anche in Italia abbiamo da tempo alcuni messia del nuovo genere letterario avvenire. Cito Wu Ming e la loro New Italian Epic in cui viene avvistata “una dimensione perturbante degli oggetti narrativi non identificati”; tale definizione viene data per provvisoria, utile a definire “narrazioni che non sono più romanzi ma non sono ancora compiutamente altro”, con l’avvertimento che forse compiutamente altro non diverranno mai.  Di certo tra i tratti principali di questa New Italian Epic il collettivo di scrittori annovera una nuova sintesi tra fiction e non-fiction,  espressa in forme diverse da quelle cui siamo abituati a pensare.
L’effetto  soporifero  dell’agnello con patate è finito e con esso il tempo concesso alla lettura della domenica. So che non dovrei incedere tanto nel parlare di cibo, almeno per una solidarietà verso le scarse possibilità di sfamarsi di alcuni scrittori. Su questo triste tema mi soni intrattenuta nel post del 1° maggio ma vorrei aggiungere che forse tale incapacità di sfamarsi è dovuta  appunto al loro rapporto di sazietà verso il romanzo tradizionale,  di cui forse non sentono  l’odore di putrefazione. È anche a loro che consiglio di leggere David Shields adesso che anche lui è pienamente consapevole di essere uno scrittore di non-fiction.

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